3829 recensioni a vostra disposizione!
   
 
 

PICCOLO BUDDHA
(LITTLE BUDDHA)
Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 19 dicembre 1993
 
di Bernardo Bertolucci, con Keanu Reeves, Bridget Fonda, Ying Rouchen (Gran Bretagna - Francia - Italia, 1993)
 
Dopo l'Estremo Oriente de L'ULTIMO IMPERATORE, e il Medio Oriente del TÈ NEL DESERTO Bertolucci affronta la terza (e ultima?) parte del trittico dedicato a quel mondo che, dopo le trasgressioni e gli ideali degli ultimi tanghi e delle saghe socio politiche nelle basse padane del novecento, gli aveva permesso di abbandonare un Paese "cinico e corrotto". Per ritrovare l'ispirazione in "nuovi ideali, che la caduta dell'utopia marxista negavano ormai all'Europa".

Curiosamente (ma forse è semplicemente un segno - in provenienza da quell'Aldilà così caparbiamente inseguito dal regista - che è ormai tempo di tornare coi piedi per terra), la parte più riuscita di questo film spezzato in due non è l' esotica: ma quella girata fra i nodi autostradali di Seattle. Nella città più orientale (e cinematograficamente alla moda) degli Stati Uniti sbarcano infatti due monaci buddisti, incaricati d'indagare su un biondino che potrebbe essere la reincarnazione di un Grande Lama, loro maestro. Più che nella scelta dei personaggi (e passi per il biondino dallo sguardo sufficientemente sognante, più la solita dizione dei bambini doppiati nella lagna degli spot al formaggino; ma per il padre architetto, interpretato da Chris Isaak, non si poteva trovare qualcosa di meno scipito?) è nella scelta degli ambienti, delle luci, dell'atmosfera insomma, che si produce quello scontro fra occidente ed oriente (materialismo e spiritualità?) che - non facciamola troppo lunga - era poi alla base del progetto.

Quasi l'avevamo dimenticato: Bertolucci è uno degli esempi più alti di golosità cinefilica, di sensualità stilistica in circolazione. Non a caso, le parti più riuscite di un film solo in parte riuscito com'era L'ULTIMO IMPERATORE, nascevano dal fruscio di una seta, il languore di un colore, la suggestione di un profumo abbandonato fra le mura della Città Imperiale. Ed ecco che qui, in una splendida luce high-tech bluastra, fra chiaroscuri suadenti più che inquietanti che sapientemente evitano di mostrare eccessivamente il reale, e di non sbilanciarsi troppo su ciò che è sempre profittevole relegare nel non-detto, l'introduzione dei monaci nell'appartamento con vista sui grattacieli e Pacifico avviene con delicatezza ed emozione. La prima apparizione del piccolo Jessie, il viso nascosto da una maschera che si è costruito per gioco, è una delle non infinite intuizioni del film: senza duemila comparse e trasferte agli antipodi, grazie al solo tramite dello sguardo cinematografico, ecco la sottile, straniante invasione del mondo del mistero in quello della scienza spiegata al popolo dei telemike.

Poi le cose si guastano, e proprio quando non era il caso. Per iniziare il ragazzino (e convincere i genitori) i due simpatici monaci regalano un libro che illustra la leggenda fondatrice della loro religione: quella del principe Siddhartha, che abbandona gli ozi dorati della propria casta, per le rinunce e l'ascesi della meditazione e della conoscenza del mondo.

Amorevolmente assistito dalla madre tra gli effluvi del badedas, Jessie incomincia a sfogliare il libro; e gli spettatori de IL PICCOLO BUDDHA ad incamminarsi sul laborioso cammino della conoscenza. Un colpo di qui, dalle parti di Seattle e poi sul jet che inevitabilmente ci conduce a Katmandu assieme a Jessie d al padre in crisi; e uno di là, 500 anni prima del nostro Messia, quando Siddhartha (un Keanu Reeves che deve aver esitato a lungo fra il rimmel ed il solarium, per poi eccedere nei due) s'introduce nella foresta incantata che conduce agli inevitabili effetti speciali.

Per illustrarci le lusinghe dell'orientalismo accademico (ma Bertolucci dichiara di aver voluto filmare una favola naïf per bambini) Vittorio Storaro passa allora dai blu di Seattle all'ocra dorato, più vicino a quello meno lussuoso dei peplum musicali indiani: l'effetto è ammirevole, e piuttosto indifferente. Un po' come tutto questo film, che non si può non ammirare ed approvare: ma che è assai più difficile amare. Per la semplificazione delle psicologie, che rende ardua una qualsiasi identificazione; ma, più ancora, per la riduttività della sceneggiatura.

Il cinema di Bertolucci (anche questo ci aveva fatto dimenticare la sua avventura orientale) è sempre stato di referenza, letterario e, più ancora, melodrammatico: uno spettacolo che - come quello operistico - va visto da una platea distante. Che ci permetta di gustare i rinvii del mito: ma d'ignorare la ciccia del cantante. Un cinema dell'immaginazione poetica, che può permettersi anche d'ignorare la mancanza di logica della costruzione drammatica. Ma quella de IL PICCOLO BUDDHA sembra partire dall'idea che lo spettatore sia ormai un ectoplasma irrimediabilmente teledipendente: come spiegare altrimenti la costruzione del film, fatta dell'alternanza più elementare fra presente e passato, delle coincidenze più sottolineate e didattiche tra una sequenza e l'altra?

Ad inseguire la grazia e la trascendenza con tanta insistenza si arrischia di perderla. Così nel periglioso finale nel monastero del Buthan, quando si decide che i buddhini sono poi tre. Uno biondo, l'altro nero e (l'altra, ci mancherebbe) caffellatte: in nome di quell'universalità passe-partout che, come sappiamo, fa vendere anche i pullover.

E pensare che Bertolucci nasconde sempre il suo animo di poeta: guardate come - dimentico per un momento della propria missione - ritrova per un istante i mezzi per fuggire dalla rappresentazione. È quando (nella sequenza di gran lunga più significativa de PICCOLO BUDDHA) Jessie - proprio come Siddhartha duemila e passa anni prima di lui - sfugge al controllo del padre, per addentrarsi nel mondo. Nel quartiere dei vasai, fra un'umanità fatta finalmente di lavoro, piccole gioie e grandi miserie, ritrova le stesse luci, le angolazioni che suggeriscono l'identità dei destini, i medesimi gesti eterni che scolpiscono la storia dell'uomo . Qui, finalmente, lo spettatore è colpito da ciò che avrebbe potuto fare grande il mistero troppo spiegato del film: lo spiegarsi di un altro mistero, quello dello sguardo cinematografico, nel suo potere di rinviare all'infinito lo specchio dei nostri fantasmi.

Così avrebbe potuto essere IL PICCOLO BUDDHA: per Bertolucci è giunto il tempo di ritornare.


   Il film in Internet (Google)
  Film dello stesso regista

Per informazioni o commenti: info@films*TOGLIEREQUESTO*elezione.ch

 
 
Elenco in ordine


Ricerca






capolavoro


da vedere assolutamente


da vedere


da vedere eventualmente


da evitare

© Copyright Fabio Fumagalli 2024 
P NON DEFINITO  Modifica la scheda